Genere Sparatutto tattico: Operation Flashpoint: Dragon Rising
La trama di Operation Flashpoint: Dragon Rising è quantomeno inquietante. Nel 2010 la Russia viene invasa da una Cina al collasso economico e alla disperata ricerca di fonti nergetiche. In soccorso di Mosca arrivano però gli Stati Uniti e fanno piombare il mondo sull’orlo di un nuovo e drammatico conflitto mondiale. In questo contesto il giocatore è chiamato a vestire i panni del comandante di una squadra composta da quattro elementi e ad affrontare undici missioni su di un’isola chiamata Skira. Si tratta di un luogo che di fittizio ha solo il nome, dato che è una fedelissima riproduzione della vera isola di Kiska, parte del territorio dell’Alaska.
Nonostante l’ambientazione sia vasta e liberamente esplorabile, manca spesso la necessità e la possibilità di farlo perché i livelli sono tutti eccessivamente lineari, le quest secondarie possono essere affrontate o meno senza che ciò influisca sulle missioni principali. Queste ultime sono ben poco varie: prevedono unicamente che si debba distruggere uno specifico obiettivo o raggiungere una certa posizione, spesso entro un lasso determinato di tempo.
Gli scontri a fuoco con il nemico non mancano e sono questi il fulcro del gioco. Prima e durante le sparatorie è possibile impartire ordini ai propri compagni di squadra e sfruttarne le diverse capacità e armamenti per uscire vivi da situazioni che sono sempre piuttosto intricate.
Il sistema di controllo
Funziona egregiamente,grazie soprattutto alla buona intelligenza artificiale che regola i movimenti e le azioni dei compagni di squadra. Non altrettanto valide sono invece le routine che determinano i comportamenti degli avversari, che alternano momenti nei quali si comportano in modo plausibile ad altri in cui le reazioni sono a dir poco sconcertanti, come quando rimangono imbambolati nonostante siano bersagliati dai colpi. A onor del vero non si può far a meno di notare come la difficoltà delle missioni e il realismo degli scontri scaturiscano in effetti da soluzioni po’ troppo artificiose. Innanzitutto è possibile portare con sé solo due armi alla volta.
Questo non sarebbe un grosso problema, se non fosse che spesso si rischia di rimanere senza munizioni perché i cadaveri dei nemici “scompaiono” troppo in fretta impedendo così di recuperare pistole, lanciarazzi e mitra che sarebbero invece utilissimi. Inoltre il sistema di mira è pessimo, dal momento che è pressoché impossibile tenere ferma l’arma per eseguire un colpo di precisione dalla distanza, senza contare che il visore a infrarossi è del tutto inutile perché non consente di individuare i nemici.
Inoltre troppo spesso i soldati cinesi colpiti in pieno petto continuano ad avanzare come se nulla fosse e non si capisce se questa sia una scelta degli sviluppatori (peraltro poco comprensibile) o un grossolano errore di programmazione. Buona ma non eccezionale la grafica: se i soldati e i mezzi da combattimento sono realizzati in modo esemplare, gli ambienti, pur ricchi di vegetazione, sono fastidiosamente poveri di strutture ed edifici. Senza contare che lo schema dei colori poco azzeccato spegne l’impatto complessivo delle immagini che appaiono come “sbiadite”.
In questo quadro altalenante spicca invece il comparto multiplayer, che consente di affrontare tutte le missioni in modalità cooperativa (fino a quattro giocatori) oppure di lanciarsi in un serrato conflitto on-line che prevede il combattimento tra due fazioni composte da ben sedici utenti ciascuna. E, in
effetti, la campagna per il giocatore singolo (peraltro breve) sembra più un allenamento in vista delle appassionanti sfide tra amici che sono il piatto forte del gioco. Si poteva fare di più, si poteva fare meglio.